giovedì 25 dicembre 2008



Buon Natale ai Palestinesi, si tout court ai Palestinesi, popolo offeso, popolo disperso, popolo intelligente, popolo antico. Fino al 1948 avevano una casa, poi per riparare a un'ingiustizia mostruosa, ne fu compiuta un'altra, ad un popolo offeso fu data un'opportunità, un'opportunità a cui mai avrebbe rinunciato, un diritto conquistato nei secoli, mostrando una tale forza, una tale coesione, non disperdendosi mai, se pur disperso nel mondo, e tenendo forte nel cuore e nei gesti la propria identità.
Nel 1948 per pagare un debito verso il popolo Ebraico (e quale nazione occidentale non ne aveva fatti di torti a questa gente), fu fatto un torto, un orrendo torto ad un'altro popolo, un popolo il cui  difetto era quello di abitare le proprie case, i propri luoghi, di avere un propria storia, di aver vissuto in una sua terra. Fu levato tutto a questa gente, fu spodestato il misero per far posto al povero, tutto senza un vero atto di giustizia, poiché non v'è giustizia laddove la Legge si impernia su un torto palesato e perpetrato in nome di essa.
Fatto emblematico, la creazione dello stato di Israele significa l'affermazione di una verità assoluta, quella del diritto all'esistenza, contro l'altrettanta affermazione di un'altra realtà assoluta, quella del popolo Palestinese di conservare il diritto alla sua di esistenza.
Ma ormai le carte si sono mescolate e nel gioco triste dei Tarocchi è spuntato l'Appeso, la carta del tutto è fermo, non ci sono più Ebrei e Palestinesi, ci sono uomini che soffrono, uomini che non parlano tra di loro e poi sangue dolore e morte. Io vorrei che non ci fossero ne Ebrei ne Palestinesi, ma solo uomini, uomini che si amano e si rispettano, il tempo dei popoli assoluti, il tempo delle verità assolute, deve finire, deve finire il tempo di un Dio che gli uomini interpretano come unico portatore del bene e del male, del loro bene e del loro male, lo stesso Dio in terra di Gerusalemme divide due identità, sembra che a ognuna di esse dica, in me vincerai, “in hoc signo vinces” a da li le guerre le battaglie, il vile denaro, le bombe, i cadaveri storpiati, la vita che perde, la morte che vince.
Tempo fa due donne, una Ebrea e l'altra Palestinese s'incontrarono, l'una era madre di una kamikaze, l'altra di una vittima di quell'attentato, parlando scoprirono di quanto era simile la vita delle due figlie, due figlie, due donne, che avevano condiviso lo stesso dramma, in un unico momento, insieme, anche se su fronti opposti, divise da uomini, divise da idoli in veste di deità assolute, due donne così simili, avevano incontrato la morte insieme e le loro madri imparavano a condividere il dolore comune.

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